Forse nessun personaggio della storia russa è avvolto in una nube così densa di miti, leggende e menzogne come il “diavolo santo”, il fatale amico dell’ultima famiglia imperiale: Grigorij Rasputin.      A dispetto della leggenda, “Rasputin” non era il soprannome dato a Grigorij in seguito alle sue dissolutezze. Già suo padre aveva quello stesso cognome, e cosi molti altri nella borgata. L’origine sta forse in rasput’e (bivio), poiché Pokrovskoe è situata sulla strada che collega Tjumen’, capoluogo di distretto, a Tobol’sk, capoluogo di governatorato. O l’origine va forse cercata in rasputa, il savio in grado di risolvere le situazioni intricate. Ma l’etimologia potrebbe anche partire da rasputstvo (dissolutezza), poiché la natura umana non è esente da imperfezioni. Comunque stiano le cose, Grigorij ricevette il suo cognome bell’e pronto. Piu tardi, ne ebbe ufficialmente un altro, ma rimase sempre “Rasputin”.

Un’altra leggenda vuole che Rasputin fosse nato nel 1871 o 1872, mentre in effetti era nato otto anni prima. Secondo il parroco, cominciò i suoi pellegrinaggi nel I892, e per sua stessa asserzione, all’età di ventotto anni. Secondo sua figlia, nel 1904 aveva circa quarant’anni.

“Lo starec (la parola deriva da vegliardo e indica un sant’uomo) ha oggi cinquantadue anni”, è detto nella prefazione al suo libro, pubblicato nel I9I5. In base a questi indizi, Rasputin sarebbe nato nel 1863 o nel I864, mentre, secondo i dati della Commissione d’inchiesta istituita dal governo provvisorio, sarebbe nato nel I864 o nel I865.

Diventato un personaggio influente, Rasputin non ha quasi mai rifiutato di aiutare chi si rivolgeva a lui. Non chiedeva, ma accettava regali e denaro. Intascava con indifferenza grosse somme dai ricchi e con gratitudine piccole somme dai poveri. Prendeva denaro soltanto quando ne aveva bisogno per aiutare qualcuno. Scrive e racconta uno dei suoi amici, che se veniva a chiedergli favori un uomo ricco, Rasputin diceva: “Nella mia casa c’è un ricco desideroso di distribuire il suo denaro tra i poveri”.

Rasputin riteneva di avere la vocazione dell’insegnamento. Scrisse e dettò sei opuscoletti editi da A. F. Filippov. Sono infarciti di riflessioni come queste: Guai agli agitati e ai cattivi, il sole non li scalda e la primavera non consola gli avidi e i tristi: nei loro occhi non c’è giorno ma soltanto notte … Il male e l’invidia sono ancora in noi, tra il potente e il più potente, e l’intrigo regna nella corona . . . Gli uomini intelligenti sono tanti, ma non hanno la fede, c’è molta necessità che gli si parli non di fede ma di amore, che Dio li aiuti! . . .

Secondo Senin, avendo un’indole nervosa, esaltata, capace di vedere a fondo nell’anima altrui e in grado anch’essa di provare impressioni forti e profonde, Rasputin attirava la gente. Ha trovato successo – scrive Trufanov – in particolare nei bassifondi e al vertice della società. Questo si spiega col fatto che in basso e in alto si è alla ricerca di Dio.

Una delle peculiarità stupefacenti di Rasputin era il suo dono di guaritore. È capitata una cosa strana, ricorda la Dzanumova, una cui nipote stava morendo a Kiev. Mi prese per mano. La sua faccia cambiò, divento come quella d’un morto, gialla, cerea, e impietrita fino all’orrore. I suoi occhi si rovesciarono, lasciando vedere solo il bianco. Diede uno strattone alle mie mani e disse con voce sorda: “Non morirà, non morirà, non morirà”. Poi lasciò le mie mani, la sua faccia riprese il colore naturale e, come niente fosse, riprese la conversazione al punto in cui era stata interrotta. Avevo l’intenzione di partire la sera stessa per Kiev, ma ricevetti un telegramma: “Alice sta meglio, febbre diminuita”. Alla mia richiesta di ricominciare, Rasputin rispose: “Non è venuto da me, ma dall’alto. Impossibile ricominciare”.

Si conoscono alcuni casi autentici di guarigioni, o almeno di remissioni temporanee, compiute da Rasputin: ad esempio, guarì da un eczema la figlia di un mercante siberiano; Ol’ga Lochtina dalla sua anoressia; il figlio di Aron Simanovic dalla paralisi; riportò alla vita Anna Vyrubova, che si trovava in uno stato disperato in conseguenza di un grave incidente ferroviario.

In secondo luogo, non pochi pensavano che Rasputin effettuasse le sue cure con l’ipnosi. Ecco il racconto di Aron Simanovic, che era favorevolmente disposto nei confronti di Rasputin. Suo figlio soffriva di una malattia considerata incurabile. Il suo braccio destro era continuamente percorso da tremori e l’intero suo lato destro era paralizzato. “L’ho portato . . . nell’appartamento di Rasputin, l’ho sistemato in una poltrona in sala da pranzo, ho bussato io stesso alla porta della camera da letto, poi lasciai rapidamente l’appartamento. Mio figlio tornò a casa un’ora dopo. Raccontò che Rasputin era uscito dalla sua camera, si era seduto in poltrona di fronte a lui, gli aveva messo le mani sulle spalle, e lo aveva fissato negli occhi; poi si era messo a tremare fortemente. I tremori si erano a poco a poco indeboliti e Rasputin si era calmato. Poi era saltato in piedi urlando: “Fila a casa, se no te le suono”. Mio figlio si alzò e tornò a casa ridendo.

Ecco ora un racconto fatto da Feliks Jusupov, un avversario di Rasputin. Jusupov gli si era rivolto un giorno lamentandosi della sua salute: “Non posso più lavorare, – dicevo, – mi stanco molto in fretta e mi ammalo”. Lo starec ((la parola deriva da vegliardo e indica un sant’uomo) mi fece coricare su un divano, si piantò davanti a me, e fissandomi negli occhi cominciò ad accarezzarmi petto, collo e testa. Poi cadde improvvisamente in ginocchio e, mi sembrò, cominciò a pregare dopo aver posto le mani sulla mia fronte. Non vedevo la sua faccia, tanto aveva abbassato la testa. Conservò a lungo questa posa, poi con un rapido scatto si alzò in piedi e cominciò a fare dei gesti da ipnotizzatore. La sua forza ipnotica era immensa e la sentivo impadronirsi di me e allargarsi come un’ondata di calore nel mio corpo. Avevo la sensazione di essere paralizzato. Tentai di parlargli, ma la lingua non mi ubbidiva e sprofondai lentamente nel sonno. Vedevo solo gli occhi di Rasputin; ne emanava una strana luce fosforescente, che fini con l ‘essere un solo cerchio luminoso in cui si fusero i suoi occhi.

È possibile che il suo sguardo e i suoi gesti abbiano posto i nuovi visitatori in uno stato più arrendevole e suggestionabile. Talvolta lo stato ipnotico rafforza considerevolmente la suggestionabilità, ma non è affatto indispensabile. Non si può escludere che Rasputin sia stato dotato della rarissima capacità di emanare un “campo biologico” non ancora studiato dalla scienza. Sua figlia parlava di una “forza nervosa, di un vitalità che emanava dai suoi occhi e dalle sue mani particolarmente lunghe e belle”. Secondo Trufanov, questa forza “emana dalle sue mani ma soprattutto dai suoi occhi grigi, fissi, taglienti. Con questa forza sottomette letteralmente ogni anima debole e impressionabile”. Rasputin stesso pensava che il suo corpo, il contatto con esso, irradiasse una forza: “È forse possibile seppellire il proprio talento?”. È più probabile che il suo dono di guaritore riposasse sulla potenza della sua fede e della sua volontà. L’unica spiegazione della sua forza era secondo lui che la volontà di Dio agiva attraverso lui.

Da secoli ci troviamo davanti al problema della suggestione e dell’autosuggestione, e da secoli esso rimane uno dei più misteriosi. Misterioso se si parla dell’origine e dei limiti della forza della suggestione, ma le sue applicazioni mediche sono perfettamente conosciute. Se ad un alcolizzato si dà un bicchiere d’acqua affermando che si tratta di un bicchiere di vodka, si ubriacherà; se si dà un placebo a un iperteso, facendolo passare per un sedativo, si sentirà meglio. Quasi tutte le malattie

sono psicosomatiche, e nella misura in cui è coinvolta la psiche, la forza della suggestione può agire. Può guarire totalmente l’anoressia, ma non l’emofilia, di cui può soltanto arrestare momentaneamente le emorragie. Rasputin sentiva il suo paziente, credeva di poterlo guarire, e con uno sforzo della volontà gli trasmetteva questo convincimento. In sostanza, le guarigioni che operava sui “corpi” non differivano sensibilmente da quelle ottenute sulle “menti” e, in entrambi i casi, richiedevano dall’ammalato sottomissione e fiducia. Se c’era urto tra due volontà, gran parte della forza rischiava di disperdersi solo per vincere la resistenza. L’applicazione all’ammalato, nel corpo o nella mente, della forza che Dio gli aveva conferito, riteneva Rasputin, esigeva bontà e amore, e la prima condizione della guarigione era il risveglio della fede nell’ammalato. Alla domanda di Senin: “Come fai a vedere di che cos’è malata una persona?”, Rasputin rispose: “Finché non hai guardato nella sua anima, cosa puoi dire? . . . Ognuno ha la propria sofferenza . . . E la cosa più difficile è costringerlo a credere”. L’incredulità è essa stessa una malattia.