La vita di Pitagora appare segnata da un destino eccezionale e incomparabile a quello degli altri uomini. L’anima di Pitagora, posta in cielo come tutte le altre al seguito di un Dio, secondo quanto si legge nel Fedro, la si disse differente quanto a natura dalle anime degli altri mortali, poiché essa non cadde precipite nel mondo, ma fu inviata secondo la volontà di un disegno divino, come bene chiarisce Giamblico: a Pitagora fu infatti affidato il compito di recare agli uomini, quale dono degli dei, la filosofia. Si dice che Pitagora abbia vissuto 104 anni ed aveva due figli maschi e due o tre figlie femmine.

Si dice che Platone fu discepolo di Archita il vecchio, e nono successore di Pitagora; Aristotele ne fu il decimo. Quelli tra i discepoli di Pitagora, che si dedicavano alla vita contemplativa, venivano chiamati sebastici (pii), mentre coloro che si dedicavano agli affari degli uomini ricevevano l’appellativo di politici; coloro, infine, che si applicavano alle scienze matematiche o geometriche, erano denominati matematici. Quanti furono discepoli di Pitagora venivano chiamati Pitagorici, i discepoli di questi ultimi Pitagorei, mentre quanti seguivano la dottrina stando al di fuori della scuola venivano conosciuti come Pitagoristi. Tutti si astenevano dal mangiare ogni essere vivente (vegetariani) e solo occasionalmente si cibavano degli animali sacrificati.

I discepoli di Pitagora affermavano che la Monade e l’Uno siano tra loro differenti. La Monade, infatti, era considerata fare parte degli enti intellegibili, l’Uno appartiene alla sequela dei numeri, al pari del Due, appartenente alle cose numerabili, mentre insegnavano che la Diade è indeterminata, poiché la Monade viene intesa secondo l’uguaglianza e la misura, la Diade secondo l’eccesso ed il difetto. Affermavano che l’uomo diventa migliore in tre modi: 1) con la frequentazione degli dei, perché è necessario che chi si accosti a loro, in forza di questa circostanza, debba allontanarsi da tutta la malvagità, nella loro volontà di farsi simili, per quanto possibile, alla divinità; 2) quindi nel praticare il bene, poiché questo è proprio del Dio e in questo consiste l’imitazione del divino; 3) infine nel morire. Se infatti l’anima si separa in una certa misura dal corpo durante la vita, e ne trae elevazione sopra se stessa; e se, inoltre, nel sonno, per mezzo dei sogni, e nelle estasi provocate dalle malattie essa diviene profetica, bisogna convenire che essa conosce uno stato di gran lunga migliore quando si trovi completamente separata dal corpo.

I seguaci di Pitagora si astengono dal consumare esseri viventi, dato che dissennatamente ritengono vera la trasmigrazione delle anime. Credono poi che simili cibi gravino sull’intelletto, poiché sono troppo nutritivi e necessitano di una lunga digestione. Per questo si astengono dalle fave, appunto perché provocano flatulenze e sono troppo nutrienti. In verità adducono numerose altre cause che li inducono ad astenersi dalle fave.

Il grande anno, per i discepoli di Pitagora, si identifica con la rivoluzione di Saturno, e, mentre gli altri pianeti completano la loro orbita in un tempo minore, Saturno compie il proprio corso in trenta anni. Giove compie la sua rivoluzione in dodici anni, Marte in due, ecc., la Luna che è il corpo celeste più vicino alla Terra, compie il suo corso in un mese. Il primo a chiamare il cielo Kosmos fu Pitagora, a causa della sua perfezione e del suo ordine, composto da esseri viventi e da bellezze di ogni sorta.

L’uomo è un microcosmo, non tanto perché è composto da quattro elementi (questa è una caratteristica di ciascuno degli esseri viventi, ed anche dei più semplici), quanto perché egli comprenda in sé tutte le potenze proprie del cosmo. Nel cosmo vi sono infatti gli dei, i quattro elementi, gli animali privi di ragione, e i vegetali: ebbene, l’uomo possiede tutte queste potenze. Ha infatti una virtù divina, la ragione; ha in sé la natura propria degli elementi: si può nutrire, può crescere e può riprodurre un suo simile.