“Senza l’impiego dell’empatia non è possibile alcuna psicologia degli stati psichici complessi” (Kohut, 1984). 

L’empatia è quella speciale disposizione che permette di mettersi “nei panni dell’altro” fino a coglierne i pensieri e gli stati d’animo, di capire la sua esperienza con lo scopo di anticipare quello che l’altro sta per fare, la “capacità di comprensione sentimentale, quindi irrazionale” tanto del comportamento verbale che del non verbale.

Attraverso l’introspezione, altra componente essenziale dell’osservazione psicologica, si entra in contatto con la propria vita interiore e, quindi, con quella degli altri, pur conservando separata la coscienza della propria identità. L’empatia, che è una sorta di identificazione parziale e temporanea, ha origine nei primi rapporti con la madre che creano le condizioni affinché si possa capire l’altro, riconoscendosi nella sua esperienza, è associata al pensiero primario e funziona meglio quando inizia involontariamente e si svolge a livello del preconscio ed inconscio. Essere empatici, infatti, significa sperimentare e condividere, temporaneamente, i sentimenti di un’altra persona, partecipare alla qualità ed alla natura dei sentimenti altrui ma non all’intensità ed alla quantità.

La risposta empatica può essere sia emotiva, simile a quella dell’altro, che una reazione involontaria non verbale (mimica facciale, postura) e/o fisiologica (tensione muscolare, variazione del respiro, del battito cardiaco, ecc.). I motivi inconsci che stanno alla base possono essere di tipo maternage (come cura, nutrimento), rappresentare una fecondazione da cui scaturisce un cambiamento del soggetto, vissuto come un ristabilire un contatto con un oggetto perduto, una modalità di riparazione dei sensi di colpa (verso fratelli, per es.).

Il buon empatico deve essere capace di avere una posizione sospesa in modo da poter “oscillare” tra distacco e coinvolgimento, osservazione e partecipazione, oggettività e soggettività, sia cioè in grado di regredire dalla posizione di osservatore distaccato a quella in cui diventa un soggetto partecipe, per poi tornare alla posizione originaria: essere cioè capace di una regressione parziale e momentanea. Quindi, non solo divenire empatico ma anche abbandonare questo atteggiamento, a seconda delle interazioni interpersonali.

L’empatia va distinta dall’intuizione, che è la comprensione immediata e irrazionale di fatti psichici trasmessa per via inconscia, e dalla simpatia in cui non vi è una condivisione dei sentimenti ma una somiglianza tra aspetti degli altri con i propri. Per Barugel, simpatia ed empatia, risultano entrambi dall’identificazione, l’una “introiettiva”, l’altra proiettiva” perché qualità proprie del soggetto vengono messe nell’oggetto.

L’intuizione è definita come “conoscenza non mediata o un metodo immediato per ottenere conoscenza”. Questo non significa che esista un’acquisizione non mediata della conoscenza: sembra tale perché il soggetto non è a conoscenza degli stadi precedenti. Potrebbe essere la produzione di immagini mentali che mette insieme gli elementi probanti, afferrati per empatia, ma è una funzione dell’intelletto, quindi un processo cognitivo. Quindi l’intuizione è un processo creativo dal quale sorgono nuove teorie e idee sperimentali o per mezzo del quale si può arrivare alla soluzione di un problema, anche scientifico, senza riuscire a dimostrarlo.

Con l’empatia, il riuscire a mettersi nei panni dell’altro, permette anche di intervenire in modo giusto al momento giusto. Un’osservazione o un commento appropriato può permettere all’altro di vedere improvvisamente in modo completamente diverso gli eventi e lo aiuta a dare un’interpretazione completamente diversa ai suoi vissuti.